In-ver(n)o

Il giorno si congeda presto,
inghiottito nella pace della terra,
con rossori indecenti,
sfuocati nel blu del divenire,
che fan sembrare anche le vecchie fabbriche tumorali di Marghera uno splendore.

La sera arriva prima,
netta e tagliente,
fredda,
da ghiacciare i finestrini delle macchine,
da far battere i denti per scaldarli,
da camminare più veloci come a sfuggirgli.

cice

Che i Sordi sentano

Sogno aporie e concessioni
piango un mondo che non c’è,
so intonare l’illusione
del dominio degli dei;
surreale pandemia
di una rapsodia,
funambolica allegria.

Scorgo antichi cimeli
vestigia di una sterile memoria,
panta rei è galleggiare
in un limbo liquido;
sospirata redenzione
di una salma senza loculo,
amaro dogma
di verità agnostica.

Attendo un messia
che mi desti,
da questa involuzione
di infausta viltà;
bramo l’eutanasia
dei sensi,
catalizzatore
di una agognata mortalità.

 

 

Quando il simulacro dei miei orizzonti
profilerà assennato la sinossi dei miei soli,
garrulo e velleità mesmerizzerà
salvifico l’abiura dell’ego…

Quando l’estro del vento che smuove
spirerà pletorico sulle membra di un cereo epigeo,
l’apodittica implosione è l’uopo e manifestazione
per la sola rivelazione…

 

Isole di Langerhans

Primo

Cade in frantumi la sabbia soffiata in fornace.
Fischia un treno a vapore
che corre
contro tempo.
Scorrono rapide autentiche emozioni di stagioni trafitte dalla freccia di Cupido.

Inizio ad insultare quello stronzo del capotreno:
“Non voglio ferirmi
con il cristallo di quelle lacrime solide e coltelli!!
Sono lame che illuminano
squarci di morbida seta!! “

Mi sperdo.
Come un grano di polvere,
spinto da passi di piedi,
nascosto,
dove mani di una lucida serva,
non passano con lo straccio alcolico.

In apnea mi immergo,
negli abissi
di quel me immobile nella nebbia di pietra.

Un incosciente
battito di ciglia
scatta un fosco fotogramma :

è la pesante quercia nudache mi ripara timidamente

da uno schermo di spettri,

lenta pioggia d’acqua

che mi avvolge.

Sono. 
Ora.
una fragile impalcatura
di bianco velluto.

Francesco Nordio

Ermetico Romanticismo

Ti accarezzo quando sfioro la luna,

che squarcia la percezione degli spazi;

coinvolgente illusione per l’ispirazione,

intrisa di folgoranti promesse;

ti soffro ora vividamente,

madido di allietanti visioni parallele

e riscontri disimpegnati.

 

 

 

Icaro Sirio

Renè Revellier

E’ così consolatorio sapere che esistono ancora le 5 del mattino.
Tutti dormono,
il cielo è una spennellata di nubi che si appoggiano a terra
e di pacifico e sovrannaturale chiarore che squarcia senza tempo.

tutto sembra altro.
Confondendo lo sguardo
trovi catene montuose fronteggiate da corpose nubi,
mare in tempesta
che si rilassa nel bordo sabbioso
di una rocciosa spiaggia nordica.

Regna la pace.
L’uomo qui non ha ancora messo mano
e mai potrà metterne.
Come a ricordarci che non ci siamo solo noi,
che le luci sottostanti di artificiali lampioni,
sono solo frutto
di una triste e incredibile paura di non vedere,
di restare per la prima volta
a contatto con la vera luce che il mondo a deciso di regalarci.

Quanto egoismo e credenza di superiorità
ci rappresentano,
come fossimo soli,
come fossimo convinti di essere noi
il principio e gli artefici di tutto.

BLACK OUT

Paura di cosa?
Di restare solo noi?
Senza musica ad accompagnarci,
senz’armi a salvaguardarci,
senza parola a confonderci,
senza macchinari a stordirci.
Cosa resta?
Resteremmo solo noi,
solo noi e la legge della giungla,
noi e gli altri animali “inferiori”,
noi e il nostro freddo,
noi e le nostre paure,
noi e le nostre grandi menti
a saziare piccoli stomaci carnivori.
Cosa saremmo?
Un branco di animali,
privi di artigli,
carenti di zanne,
piccoli, fragili mucchietti d’ossa
ammassati in angoli di caverne.
Tutt’attorno vedo sofferenza,
di alberi sradicati,
di campi disegnati,
di fiumi incanalati;

di forza che si sta per sprigionare.

 

 

Alesssandra Zamai

Un Blues

Ehi Piccola,

salta sulla carrozza generatrice d’emozioni

e prendi ciò che è tuo di diritto;

le ruote sono allineate

sulla fantasia,

dea Goduria!

Fatti forza,

siamo noi che ci fumiamo a brandelli,

ma il mondo non geme;

allora prendilo,

rozzo e industriale

afferra l’ascia degli spregievoli,

così bella,

affonda frutto impuro.

 

 

 

 

Icaro Sirio

La Fortuna.

Il bianco e nero del film mi faceva pensare al giorno dei morti, quando novembre era novembre davvero con la nebbia e l’umidità dappertutto, e le castagne sul fuoco e la brina sui prati e il glicine al cimitero. Quel novembre odioso che arriva nonostante il trucco di maghi suicidi e gli incantesimi di streghe ubriache, e parte sempre allo stesso modo: coi piedi al freddo i visi seri e l’ombrello chiuso, a farci sentire tanti inadatti mary poppins.

Come per adele ci fu un giorno in cui la fortuna scelse anche me, e fu per caso, come il semaforo che diventa verde proprio mentre ci si avvicina. come la tua canzone preferita che passa alla radio non appena la accendi. quel freddo pomeriggio invernale col cielo blù mi mise il sorriso. quel sentirsi protagonista di un qualcosa che non capita a nessuno, continua a farlo.

Ed è strano. un contrasto stupefacente come la bellezza dei suoi denti lontani, come la sensazione intuibile dei bei finali, anche se per troppo tempo si è invasi di tragicità. tutto contrastante, come voler andare al boldrini a tutti i costi solo per bere un té al distributore. come quelle cose che pensi e che finchè non le fai sembrano assurde, e magari lo sono davvero ma dopo averle fatte ne cogli un senso in più, inspiegabile. come quando ho scattato quella foto dove non c’era niente, solo per dare ascolto a chi me lo suggeriva, e ora la posso riguardare e continuare a sorridere.

 

 

Emanuela